…e dicevamo poi che tornare a discutere di queste pagine di Hegel poteva aiutarci a comprendere un aspetto caratteristico del nostro tempo…
Durante una conversazione con Michel Wieviorka – svoltasi nell’ultimo anno del secolo scorso – Jacques Derrida metteva l’accento sul fatto che, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, la parola del perdono ha occupato in modi via via più diffusi e significativi la scena politica globale…
…un fenomeno, quello del perdono, a cui ha dedicato molti testi e seminari, e di cui ha parlato in numerose interviste, tra cui quella che abbiamo appena ricordato…
…e che significativamente si intitola Le Siècle et le Pardon.
Un fenomeno legato all’affermarsi del concetto di diritto internazionale e all’istituzione di tribunali, come quelli di Norimberga o di Tokio, dove è maturata la nozione giuridica di crimini contro l’umanità; ma anche al sorgere di com- missioni per la riconciliazione in paesi come l’Argentina, il Cile, il Sudafrica, il cui tessuto sociale usciva terribilmente lacerato e sconvolto dalla politica delle dittature militari e dai regimi di apartheid. E l’esempio certamente più significativo di queste esperienze è la «Commissione per la verità e la riconciliazione» («Truth and Reconciliation Commission») istituita nel 1995 in Sudafrica per volontà di Nelson Mandela…
…dove – grazie soprattutto all’iniziativa del vescovo anglicano Desmond Tutu, che ne è stato presidente – il concetto cristiano di perdono è entrato a far parte in modo esplicito di iniziative politiche volte alla pacificazione sociale.
È proprio nelle epoche che succedono a grandi catastrofi umanitarie – ciò che non è mai stato tanto spaventosamente attuale quanto nella nostra – che si impone la necessità di ricorrere a quelle forme di giustizia riparatrice, ricostitutiva o riconciliatrice («restorative justice») che si ispirano all’azione e alla mozione del perdono. E qui il discorso va non soltanto alle amnistie e prescrizioni, proposte o introdotte in diversi paesi d’Europa, tra cui l’Italia, dopo gli orrori del nazismo e del fascismo…
…ma soprattutto ai più recenti «tribunali» del perdono cui ci siamo appena riferiti…
…oltre che alle sempre più diffuse ammissioni pubbliche di colpa per gli errori del passato pronunciate da ministri e capi di Stato di diverse nazioni o da rappresentanti di istituzioni universali come la Chiesa di Roma.
Senza il ricorso a queste forme d’eccezione – già previste dal diritto costituito o create ad hoc – non solo i trattati o i contratti di pace, ma anche le normali procedure della giustizia retributiva (basata sull’equivalenza tra colpa e punizione), e persino le iniziative a favore della giustizia distributiva (che mira a ridurre le disuguaglianze sociali), possono risultare inadeguate ad affrontare le situazioni eccezionali che abbiamo ricordato. In casi come questi, non si tratta tanto o sol- tanto, infatti, di ripianare uno squilibrio mediante una sanzione proporzionale all’offesa, o di attenuare disparità sociali o anche internazionali, ma – prima ancora – di recuperare e di ristabilire quell’«uguaglianza» o quella fratellanza più profonda e fondamentale che, per Hegel, solo il perdono rivela e rende manifesta.
Come però sempre succede, il particolare e l’eccezione scoprono il generale, lo straordinario ci richiama all’ordinario…
…e cioè, in questo caso, al fatto che una comunità di individui che si ricono- scono l’un l’altro come uguali è possibile solo grazie alla «conciliazione» garantita dalla capacità di perdonare. Prima della sua scoperta, in fondo, non c’è per Hegel che allergia, polemica, pulsione di potere e di guerra.
Proviamo allora a definire l’epoca del perdono nel contesto del cammino dello spirito, così come viene descritto in quella «esperienza della coscienza» che è la Fenomenologia hegeliana.
Tentiamo, in altri termini, di ripeterla.
L’epoca del perdono può sorgere solo nel momento in cui lo spirito si ritrova nella figura di quella «coscienziosità» che – con un’espressione tipica della lingua e della filosofia tedesca – Hegel chiama «Gewissen».
Un’età ancora tuttavia dominata dalla negatività, e quindi da possibili opposizioni e da conflitti.
Cui mette fine, appunto, l’evento del perdono.
Nella «parola della conciliazione» («das Wort der Versöhnung») accade quel «riconoscimento reciproco», «che è (“welches ist”) lo spirito assoluto».
Lo spirito «assoluto» non è, infatti, che uno spirito «assolto».
L’«epoché» del perdono fa così calare il sipario sulle contraddizioni tragiche che si manifestano con il sorgere della vita etica, e apre la scena in cui si annuncia l’epoca di una umanità conciliata dallo «spirito del cristianesimo» e dal suo compimento nel «sapere assoluto».
Riferendosi anche a Hegel, nella conversazione che abbiamo poco fa ricordato, Derrida osservava come nel moltiplicarsi delle scene di confessione di colpa e di richiesta di perdono in ogni angolo della terra (dall’Africa al Giappone, dal Cile alla Corea) il ricorso a parole e figure di derivazione abramica – e in particolare cristiana – oltrepassi di gran lunga l’area di diffusione di queste religioni, tanto da chiedersi se il nostro tempo non stia assistendo a una sorta di universalizzazione dello spirito del perdono cristiano e della sua quasi-formalizzazione nel linguaggio che informa la giustizia e la politica, la giurisprudenza e la diplomazia planetarie.
Si potrebbe dire che, finita l’epoca delle saghe storico-nazionali attraverso cui la modernità ha tentato – con risultati quasi sempre discutibili – di raccontare e riconoscere se stessa, proiettate sulla scena politica globale, le nazioni hanno riscoperto la necessità di quel passaggio dal «mýthos» al «lógos» – dal linguaggio «improprio» della narrazione epica alla parola «diretta» propria del dramma – che Hegel considerava una tappa decisiva dell’itinerario dello spirito verso il suo «sapersi». Nel «linguaggio più alto» della tragedia prima, e poi della commedia, si compie infatti quel «superamento» della parola inefficace e «ineffettuale» dell’«épos», che avvia alla verità del linguaggio e al linguaggio della verità.
Anche se nessuna azione drammatica e nessuna sintesi veritativa potrà mai «rimuovere» del tutto, non soltanto la materia e la memoria (di cui ogni musa è figlia, sia essa Polimnia o Melpomene), ma la stessa composizione mitica propria della narrazione. E se è vero che – per effetto di quel «sýn» che li avvicina e, in un certo senso, li sinonima – ogni «sýstasis», e cioè ogni composizione simboli- ca, si consegna spontaneamente alla sintesi, al sintagma, al sillogismo, alla sintassi e al sistema, resta però anche il fatto che essa lavora – e non smette di farlo – in ogni tesi, in ogni tema, in ogni «lógos».
Anche se vi resta, magari, quasi soltanto come la traccia di una raschiatura o come una cicatrice.
Come è discretamente evidente anche nel palinsesto della fenomenologia hegeliana che – se così si può dire – ricopre quello di una drammatologia, se non proprio di una drammaturgia dello spirito.
Va detto però, nel nostro caso, che è l’azione del perdono a essere in se stessa scenica, rituale, teatrale, come dimostrano, con la retorica di confessioni, peripezie e riconoscimenti, le rappresentazioni che se ne danno nei nostri tempi…
…le quali, piuttosto che affidarsi, sul modello dell’Iliade o della Bibbia, alla memoria e al passato propri delle narrazioni storiche, sembrano direttamente consegnarsi al presente di azioni e performazioni recitate sulla scena geopolitica del mondo: grandi e piccole azioni di testimonianza…
…tra cui quella del perdono, come dicevamo, è tra le più diffuse, proliferanti, mediatizzate, nel piccolo come nel grande.
Ferrario, Edoardo."PERDONARSI. Una discussione delle pagine 223-235 del VI capitolo della «Fenomenologia dello spirito»". PólemosI. 1. (2006): 288-318https://www.rivistapolemos.it/perdonarsi-una-discussione-delle-pagine-223-235-del-vi-capitolo-della-fenomenologia-dello-spirito/?lang=it
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Ferrario, E.(2006). "PERDONARSI. Una discussione delle pagine 223-235 del VI capitolo della «Fenomenologia dello spirito»". PólemosI. (1). 288-318https://www.rivistapolemos.it/perdonarsi-una-discussione-delle-pagine-223-235-del-vi-capitolo-della-fenomenologia-dello-spirito/?lang=it
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Ferrario, Edoardo.2006. "PERDONARSI. Una discussione delle pagine 223-235 del VI capitolo della «Fenomenologia dello spirito»". PólemosI (1). Donzelli Editore: 288-318. https://www.rivistapolemos.it/perdonarsi-una-discussione-delle-pagine-223-235-del-vi-capitolo-della-fenomenologia-dello-spirito/?lang=it
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TY - JOUR
A1 - Ferrario, Edoardo
PY - 2006
TI - PERDONARSI. Una discussione delle pagine 223-235 del VI capitolo della «Fenomenologia dello spirito»
JO - Plemos
SN - 88-901301-0-5/2281-9517
AB - ...e dicevamo poi che tornare a discutere di queste pagine di Hegel poteva aiutarci a comprendere un aspetto caratteristico del nostro tempo...
Durante una conversazione con Michel Wieviorka - svoltasi nell’ultimo anno del secolo scorso - Jacques Derrida metteva l’accento sul fatto che, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, la parola del perdono ha occupato in modi via via più diffusi e significativi la scena politica globale...
...un fenomeno, quello del perdono, a cui ha dedicato molti testi e seminari, e di cui ha parlato in numerose interviste, tra cui quella che abbiamo appena ricordato...
...e che significativamente si intitola Le Siècle et le Pardon.
Un fenomeno legato all’affermarsi del concetto di diritto internazionale e all’istituzione di tribunali, come quelli di Norimberga o di Tokio, dove è maturata la nozione giuridica di crimini contro l’umanità; ma anche al sorgere di com- missioni per la riconciliazione in paesi come l’Argentina, il Cile, il Sudafrica, il cui tessuto sociale usciva terribilmente lacerato e sconvolto dalla politica delle dittature militari e dai regimi di apartheid. E l’esempio certamente più significativo di queste esperienze è la «Commissione per la verità e la riconciliazione» («Truth and Reconciliation Commission») istituita nel 1995 in Sudafrica per volontà di Nelson Mandela...
...dove - grazie soprattutto all’iniziativa del vescovo anglicano Desmond Tutu, che ne è stato presidente - il concetto cristiano di perdono è entrato a far parte in modo esplicito di iniziative politiche volte alla pacificazione sociale.
È proprio nelle epoche che succedono a grandi catastrofi umanitarie - ciò che non è mai stato tanto spaventosamente attuale quanto nella nostra - che si impone la necessità di ricorrere a quelle forme di giustizia riparatrice, ricostitutiva o riconciliatrice («restorative justice») che si ispirano all’azione e alla mozione del perdono. E qui il discorso va non soltanto alle amnistie e prescrizioni, proposte o introdotte in diversi paesi d’Europa, tra cui l’Italia, dopo gli orrori del nazismo e del fascismo...
...ma soprattutto ai più recenti «tribunali» del perdono cui ci siamo appena riferiti...
...oltre che alle sempre più diffuse ammissioni pubbliche di colpa per gli errori del passato pronunciate da ministri e capi di Stato di diverse nazioni o da rappresentanti di istituzioni universali come la Chiesa di Roma.
Senza il ricorso a queste forme d’eccezione - già previste dal diritto costituito o create ad hoc - non solo i trattati o i contratti di pace, ma anche le normali procedure della giustizia retributiva (basata sull’equivalenza tra colpa e punizione), e persino le iniziative a favore della giustizia distributiva (che mira a ridurre le disuguaglianze sociali), possono risultare inadeguate ad affrontare le situazioni eccezionali che abbiamo ricordato. In casi come questi, non si tratta tanto o sol- tanto, infatti, di ripianare uno squilibrio mediante una sanzione proporzionale all’offesa, o di attenuare disparità sociali o anche internazionali, ma - prima ancora - di recuperare e di ristabilire quell’«uguaglianza» o quella fratellanza più profonda e fondamentale che, per Hegel, solo il perdono rivela e rende manifesta.
Come però sempre succede, il particolare e l’eccezione scoprono il generale, lo straordinario ci richiama all’ordinario...
...e cioè, in questo caso, al fatto che una comunità di individui che si ricono- scono l’un l’altro come uguali è possibile solo grazie alla «conciliazione» garantita dalla capacità di perdonare. Prima della sua scoperta, in fondo, non c’è per Hegel che allergia, polemica, pulsione di potere e di guerra.
Proviamo allora a definire l’epoca del perdono nel contesto del cammino dello spirito, così come viene descritto in quella «esperienza della coscienza» che è la Fenomenologia hegeliana.
Tentiamo, in altri termini, di ripeterla.
L’epoca del perdono può sorgere solo nel momento in cui lo spirito si ritrova nella figura di quella «coscienziosità» che - con un’espressione tipica della lingua e della filosofia tedesca - Hegel chiama «Gewissen».
Un’età ancora tuttavia dominata dalla negatività, e quindi da possibili opposizioni e da conflitti.
Cui mette fine, appunto, l’evento del perdono.
Nella «parola della conciliazione» («das Wort der Versöhnung») accade quel «riconoscimento reciproco», «che è (“welches ist”) lo spirito assoluto».
Lo spirito «assoluto» non è, infatti, che uno spirito «assolto».
L’«epoché» del perdono fa così calare il sipario sulle contraddizioni tragiche che si manifestano con il sorgere della vita etica, e apre la scena in cui si annuncia l’epoca di una umanità conciliata dallo «spirito del cristianesimo» e dal suo compimento nel «sapere assoluto».
Riferendosi anche a Hegel, nella conversazione che abbiamo poco fa ricordato, Derrida osservava come nel moltiplicarsi delle scene di confessione di colpa e di richiesta di perdono in ogni angolo della terra (dall’Africa al Giappone, dal Cile alla Corea) il ricorso a parole e figure di derivazione abramica - e in particolare cristiana - oltrepassi di gran lunga l’area di diffusione di queste religioni, tanto da chiedersi se il nostro tempo non stia assistendo a una sorta di universalizzazione dello spirito del perdono cristiano e della sua quasi-formalizzazione nel linguaggio che informa la giustizia e la politica, la giurisprudenza e la diplomazia planetarie.
Si potrebbe dire che, finita l’epoca delle saghe storico-nazionali attraverso cui la modernità ha tentato - con risultati quasi sempre discutibili - di raccontare e riconoscere se stessa, proiettate sulla scena politica globale, le nazioni hanno riscoperto la necessità di quel passaggio dal «mýthos» al «lógos» - dal linguaggio «improprio» della narrazione epica alla parola «diretta» propria del dramma - che Hegel considerava una tappa decisiva dell’itinerario dello spirito verso il suo «sapersi». Nel «linguaggio più alto» della tragedia prima, e poi della commedia, si compie infatti quel «superamento» della parola inefficace e «ineffettuale» dell’«épos», che avvia alla verità del linguaggio e al linguaggio della verità.
Anche se nessuna azione drammatica e nessuna sintesi veritativa potrà mai «rimuovere» del tutto, non soltanto la materia e la memoria (di cui ogni musa è figlia, sia essa Polimnia o Melpomene), ma la stessa composizione mitica propria della narrazione. E se è vero che - per effetto di quel «sýn» che li avvicina e, in un certo senso, li sinonima - ogni «sýstasis», e cioè ogni composizione simboli- ca, si consegna spontaneamente alla sintesi, al sintagma, al sillogismo, alla sintassi e al sistema, resta però anche il fatto che essa lavora - e non smette di farlo - in ogni tesi, in ogni tema, in ogni «lógos».
Anche se vi resta, magari, quasi soltanto come la traccia di una raschiatura o come una cicatrice.
Come è discretamente evidente anche nel palinsesto della fenomenologia hegeliana che - se così si può dire - ricopre quello di una drammatologia, se non proprio di una drammaturgia dello spirito.
Va detto però, nel nostro caso, che è l’azione del perdono a essere in se stessa scenica, rituale, teatrale, come dimostrano, con la retorica di confessioni, peripezie e riconoscimenti, le rappresentazioni che se ne danno nei nostri tempi...
...le quali, piuttosto che affidarsi, sul modello dell’Iliade o della Bibbia, alla memoria e al passato propri delle narrazioni storiche, sembrano direttamente consegnarsi al presente di azioni e performazioni recitate sulla scena geopolitica del mondo: grandi e piccole azioni di testimonianza...
...tra cui quella del perdono, come dicevamo, è tra le più diffuse, proliferanti, mediatizzate, nel piccolo come nel grande.
SE - 1/2006
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...un fenomeno, quello del perdono, a cui ha dedicato molti testi e seminari, e di cui ha parlato in numerose interviste, tra cui quella che abbiamo appena ricordato...
...e che significativamente si intitola Le Siècle et le Pardon.
Un fenomeno legato all’affermarsi del concetto di diritto internazionale e all’istituzione di tribunali, come quelli di Norimberga o di Tokio, dove è maturata la nozione giuridica di crimini contro l’umanità; ma anche al sorgere di com- missioni per la riconciliazione in paesi come l’Argentina, il Cile, il Sudafrica, il cui tessuto sociale usciva terribilmente lacerato e sconvolto dalla politica delle dittature militari e dai regimi di apartheid. E l’esempio certamente più significativo di queste esperienze è la «Commissione per la verità e la riconciliazione» («Truth and Reconciliation Commission») istituita nel 1995 in Sudafrica per volontà di Nelson Mandela...
...dove - grazie soprattutto all’iniziativa del vescovo anglicano Desmond Tutu, che ne è stato presidente - il concetto cristiano di perdono è entrato a far parte in modo esplicito di iniziative politiche volte alla pacificazione sociale.
È proprio nelle epoche che succedono a grandi catastrofi umanitarie - ciò che non è mai stato tanto spaventosamente attuale quanto nella nostra - che si impone la necessità di ricorrere a quelle forme di giustizia riparatrice, ricostitutiva o riconciliatrice («restorative justice») che si ispirano all’azione e alla mozione del perdono. E qui il discorso va non soltanto alle amnistie e prescrizioni, proposte o introdotte in diversi paesi d’Europa, tra cui l’Italia, dopo gli orrori del nazismo e del fascismo...
...ma soprattutto ai più recenti «tribunali» del perdono cui ci siamo appena riferiti...
...oltre che alle sempre più diffuse ammissioni pubbliche di colpa per gli errori del passato pronunciate da ministri e capi di Stato di diverse nazioni o da rappresentanti di istituzioni universali come la Chiesa di Roma.
Senza il ricorso a queste forme d’eccezione - già previste dal diritto costituito o create ad hoc - non solo i trattati o i contratti di pace, ma anche le normali procedure della giustizia retributiva (basata sull’equivalenza tra colpa e punizione), e persino le iniziative a favore della giustizia distributiva (che mira a ridurre le disuguaglianze sociali), possono risultare inadeguate ad affrontare le situazioni eccezionali che abbiamo ricordato. In casi come questi, non si tratta tanto o sol- tanto, infatti, di ripianare uno squilibrio mediante una sanzione proporzionale all’offesa, o di attenuare disparità sociali o anche internazionali, ma - prima ancora - di recuperare e di ristabilire quell’«uguaglianza» o quella fratellanza più profonda e fondamentale che, per Hegel, solo il perdono rivela e rende manifesta.
Come però sempre succede, il particolare e l’eccezione scoprono il generale, lo straordinario ci richiama all’ordinario...
...e cioè, in questo caso, al fatto che una comunità di individui che si ricono- scono l’un l’altro come uguali è possibile solo grazie alla «conciliazione» garantita dalla capacità di perdonare. Prima della sua scoperta, in fondo, non c’è per Hegel che allergia, polemica, pulsione di potere e di guerra.
Proviamo allora a definire l’epoca del perdono nel contesto del cammino dello spirito, così come viene descritto in quella «esperienza della coscienza» che è la Fenomenologia hegeliana.
Tentiamo, in altri termini, di ripeterla.
L’epoca del perdono può sorgere solo nel momento in cui lo spirito si ritrova nella figura di quella «coscienziosità» che - con un’espressione tipica della lingua e della filosofia tedesca - Hegel chiama «Gewissen».
Un’età ancora tuttavia dominata dalla negatività, e quindi da possibili opposizioni e da conflitti.
Cui mette fine, appunto, l’evento del perdono.
Nella «parola della conciliazione» («das Wort der Versöhnung») accade quel «riconoscimento reciproco», «che è (“welches ist”) lo spirito assoluto».
Lo spirito «assoluto» non è, infatti, che uno spirito «assolto».
L’«epoché» del perdono fa così calare il sipario sulle contraddizioni tragiche che si manifestano con il sorgere della vita etica, e apre la scena in cui si annuncia l’epoca di una umanità conciliata dallo «spirito del cristianesimo» e dal suo compimento nel «sapere assoluto».
Riferendosi anche a Hegel, nella conversazione che abbiamo poco fa ricordato, Derrida osservava come nel moltiplicarsi delle scene di confessione di colpa e di richiesta di perdono in ogni angolo della terra (dall’Africa al Giappone, dal Cile alla Corea) il ricorso a parole e figure di derivazione abramica - e in particolare cristiana - oltrepassi di gran lunga l’area di diffusione di queste religioni, tanto da chiedersi se il nostro tempo non stia assistendo a una sorta di universalizzazione dello spirito del perdono cristiano e della sua quasi-formalizzazione nel linguaggio che informa la giustizia e la politica, la giurisprudenza e la diplomazia planetarie.
Si potrebbe dire che, finita l’epoca delle saghe storico-nazionali attraverso cui la modernità ha tentato - con risultati quasi sempre discutibili - di raccontare e riconoscere se stessa, proiettate sulla scena politica globale, le nazioni hanno riscoperto la necessità di quel passaggio dal «mýthos» al «lógos» - dal linguaggio «improprio» della narrazione epica alla parola «diretta» propria del dramma - che Hegel considerava una tappa decisiva dell’itinerario dello spirito verso il suo «sapersi». Nel «linguaggio più alto» della tragedia prima, e poi della commedia, si compie infatti quel «superamento» della parola inefficace e «ineffettuale» dell’«épos», che avvia alla verità del linguaggio e al linguaggio della verità.
Anche se nessuna azione drammatica e nessuna sintesi veritativa potrà mai «rimuovere» del tutto, non soltanto la materia e la memoria (di cui ogni musa è figlia, sia essa Polimnia o Melpomene), ma la stessa composizione mitica propria della narrazione. E se è vero che - per effetto di quel «sýn» che li avvicina e, in un certo senso, li sinonima - ogni «sýstasis», e cioè ogni composizione simboli- ca, si consegna spontaneamente alla sintesi, al sintagma, al sillogismo, alla sintassi e al sistema, resta però anche il fatto che essa lavora - e non smette di farlo - in ogni tesi, in ogni tema, in ogni «lógos».
Anche se vi resta, magari, quasi soltanto come la traccia di una raschiatura o come una cicatrice.
Come è discretamente evidente anche nel palinsesto della fenomenologia hegeliana che - se così si può dire - ricopre quello di una drammatologia, se non proprio di una drammaturgia dello spirito.
Va detto però, nel nostro caso, che è l’azione del perdono a essere in se stessa scenica, rituale, teatrale, come dimostrano, con la retorica di confessioni, peripezie e riconoscimenti, le rappresentazioni che se ne danno nei nostri tempi...
...le quali, piuttosto che affidarsi, sul modello dell’Iliade o della Bibbia, alla memoria e al passato propri delle narrazioni storiche, sembrano direttamente consegnarsi al presente di azioni e performazioni recitate sulla scena geopolitica del mondo: grandi e piccole azioni di testimonianza...
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