UNA LETTURA INFERENZIALISTA DI HEGEL: il punto di vista di Brandom

1/2006, [:it]febbraio[:en]February[:] ISBN: 88-901301-0-5pp. 319 - 330

Abstract

In un contesto dedicato alle letture americane di Hegel, un approccio opportuno consisterebbe senz’altro nel prendere in considerazione il rapporto tra Hegel e il pragmatismo, il contributo più significativo dell’America alla filosofia. Nell’esporre questa connessione da un punto di vista storico, mi limiterò però a fornirne una breve disamina, poiché mia intenzione è attenermi al dibattito contemporaneo.

Il più recente dibattito su Hegel negli Stati Uniti, pur mostrando la caduta di alcuni pregiudizi, inveterati per quasi un secolo, nondimeno mantiene una specificità prettamente americana, tanto nella scelta dei temi, quanto nell’analisi ermeneutica. Nell’impatto con questi autori, è in ogni caso opportuno precisarne la genesi. La storia della filosofia in America abbraccia poco più di tre secoli e, fin dai suoi inizi, tre elementi sembrano essere stati particolarmente operanti in essa: la scienza, la speculazione e la prassi[1 H.W. Schneider, Storia della filosofia americana, introd. di A. Pasquinelli, trad. it. di V. Ferratini e P. Valesio, Il Mulino, Bologna 1962, vol. I, p. 145.]. L’utilizzo della scienza ebbe come effetti due risultati immediati: l’applicazione della tecnologia alle industrie e l’impulso dato al pensiero speculativo dalle leggi scientifiche recentemente scoperte, che dove- vano creare una nuova filosofia. Nel secondo di questi risultati era contenuto il germe di una rivoluzione intellettuale in grado di disintegrare il vecchio cosmo teologico. Dalla scienza doveva infatti venir fuori un nuovo spirito di critica e di realismo, che avrebbe costituito il modello per il pensiero successivo1Il pensiero statunitense dunque, sin dai suoi primi tentativi, si configura come un pensiero avverso a qualsiasi forma di monismo, di assolutismo: rifugge le categorizzazioni metafisiche e al loro posto preferisce un’analisi della realtà che parta dalla realtà, dall’esperienza2. Ne deriva un carattere cosmopolita ed eclettico del pensiero «patrizio» statunitense, che ebbe come riflesso un interesse sempre crescente per la cultura dei paesi non britannici, specialmente della Germania. Le circostanze degli anni immediatamente seguenti la guerra del 1812 3 favorirono l’attenzione già comunque da molto tempo esistente per la cultura tedesca, e fu esattamente negli anni a cavallo tra la guerra civile e alcuni decenni successivi che l’evoluzionismo americano, entrando in contatto con il romanticismo europeo, assunse le vesti del «trascendentalismo» 4.

  1. V.L. Parrington, Storia della cultura americana, Einaudi, Torino 1969.
  2. H. Commager, Lo spirito americano, La nuova Italia, Firenze 1952.
  3. Nella reazione generale contro la Gran Bretagna, determinata dalla guerra, era naturale cercare da altre parti un appoggio intellettuale e la cultura tedesca non includeva il radicalismo e il materialismo che erano stati associati con quella francese (motivo per cui la diffusione ne venne frenata), né il reazionarismo monarchico né, ciò che era più grave, il cattolicesimo della Francia post–rivoluzionaria.
  4. Un libro decisamente originale sugli albori del pensiero americano è: C. West, The American evasion of Philosophy: A Genealogy of Pragmatism, University of Carolina Press, Madison 1989, trad. it. di F.R. Recchia Lucani, La filosofia americana, Editori Riuniti, Roma 1997. La peculiarità di questo saggio consiste nella prospettiva dalla quale l’autore interpreta la storia del pragmatismo americano, facendolo risultare, piuttosto che corpo saldato al pensiero filosofico occidentale, la religione civile dell’America moderna, e ne rinviene le origini nel pensiero di Ralph Waldo Emerson, il primo pensatore originale che l’America abbia prodotto, e nella sua ottimistica teodicea incentrata sulla fiducia del «self». West rintraccia già in Tocqueville il riconoscimento dell’esistenza di un modo di pensare tipicamente americano, spontaneo e informale, e che costituisce ciò che West chiama «elusione americana della filosofia», di cui Emerson è il capostipite. La filosofia di Emerson, nel ritratto che West delinea, è rifiuto verso la filosofia europea, in quanto inadatta a esprimere la forma mentis americana, incentrata sul mito, appunto, del «self». Le due qualità più caratteristiche dell’indole americana sono il puritanesimo e l’ottimismo, la fede nella supremazia della legge morale e la convinzione che questo è un mondo buono che l’uomo plasma a sua volontà. Nel corso di due secoli e mezzo, gli americani avevano creato un «carattere americano» e avevano formulato una filosofia americana. L’«americano», come scrive West, aveva poco senso del passato e se ne curava poco: vedeva il presente con gli occhi del futuro. All’ottimismo si accompagnava un senso di potenza e di vaste riserve di energia. Anche la sua cultura era materiale: nessuna filosofia che andasse al di là del buon senso suscitava il suo interesse ed egli trasformava spietatamente persino la metafisica più astratta in etica pratica. Il trascendentalismo, ad esempio, mentre portò in Germania e in Inghilterra a una rinuncia alla cosa pubblica, in America portò, al contrario, a una preoccupazione incessante per la cosa pubblica e privata. E difatti l’assunzione di Emerson come «clinamen» della cultura americana rispetto a quella continentale consente alla storia del pragmatismo, così co- me designata da West, alcune intuizioni importanti, tra cui il nesso fra tradizione pragmatista – che vede come derivante da una reinterpretazione dei tropi emersoniani – e storia della democrazia americana, dei suoi problemi e delle sue sfide.
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Sbreglia, Nadia. 2006. "UNA LETTURA INFERENZIALISTA DI HEGEL: il punto di vista di Brandom". Pólemos I (1). Donzelli Editore: 319-330. https://www.rivistapolemos.it/una-lettura-inferenzialista-di-hegel-il-punto-di-vista-di-brandom/?lang=it
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