LA FEDELTÀ E L’EVENTO. Appunti per una critica della teoria del soggetto in Alain Badiou

2-3/2010, [:it]giugno[:en]June[:] ISBN: 8890413611pp. 190 - 205

Abstract

Nel vuoto aperto dalla crisi del marxismo, il rinnovato successo di cui l’etica gode sui giornali, nei talk-show, e tra i filosofi sarebbe essenzialmente legato, per Badiou, alla capacità dimostrata da due correnti di pensiero nel tentativo di colmare questo vuoto. La prima di queste correnti si appella alla supposizione di un soggetto umano universale, detentore di diritti naturali che sono innanzitutto diritti al non-male. Sulla scorta di una supposta evidenza del male, il bene viene infatti definito, negativamente, solo in opposizione al male e l’uomo, implicitamente, come una “bestia sofferente”, schiacciata con ciò sulla sua sola natura animale, sulla sua semplice identità di vivente. Per Badiou, al contrario, l’uomo è certo un animale, “un bipede senza piume”, senza però che questa sua qualità sia in grado di singolarizzarlo all’interno del mondo del vivente. «Un Immortale, ecco cosa è un uomo, […] nella misura in cui si singolarizza», perché, «detto molto semplicemente: l’Uomo pensa»1, si identifica per il suo pensiero affermativo, per le verità singolari, per l’Immortale di cui è capace. A questa prima figura dell’etica, l’“etica dei diritti”, se ne affianca poi una seconda: l’“etica dell’altro”, o delle differenze, di cui Levinas viene visto come il primo e più rigoroso esponente. Per Levinas, infatti, la possibilità stessa di un rapporto autentico con l’Altro si trova costitutivamente esposta al rischio di essere obliquamente reinscritta nella logica del Medesimo, conformemente ad un processo “mimetico” attraverso il quale l’Altro finisce per essere inavvertitamente esperito, narcisisticamente, come immagine raddoppiata del sé, oggettivazione dell’io per la coscienza, esteriorità della propria stessa interiorità. Perché l’esperienza dell’Altro sia “ontologicamente garantita” occorre allora che l’Altro, quale mi appare nel finito, sia l’epifania di una «distanza propriamente infinita, il cui superamento è l’esperienza etica stessa»2: non c’è Altro se non come fenomeno immediato del Tutt’Altro, che è il nome etico di Dio. Sottratto a questa sua dimensione propriamente religiosa, però, il pensiero levinasiano diventa un discorso pio senza pietà o, più banalmente, «trippa per gatti»3, e si capovolge nel proprio contrario. Dove il rispetto delle differenze viene a costituire un’identità, non può esserci rispetto per colui la cui differenza appare consistere nel non rispettare le differenze, come ad esempio per l’immigrato non integrato: «diventa come me, e io rispetterò la tua differenza»4. Il fatto, per Badiou, è che l’‘alterità infinita’ è semplicemente ciò che c’è, mentre ogni verità rappresenta, invece, il venire all’essere di ciò che non è ancora. Le differenze sono allora non già ciò che il pensiero deve riconoscere ma, esattamente al contrario, ciò che ogni verità depone come insignificante, privo di ogni interesse per il pensiero. Ciò che conta non è il riconoscimento dell’altro, ma «il riconoscimento del Medesimo»5, perché il Medesimo non è ciò che è, ma ciò che avviene: indifferente alle differenze, solo una verità, in quanto tale, è la stessa per tutti, e tale per ciò stesso da non potersi affermare se non contro le opinioni e le loro differenze. Come Immortale che pensa il Medesimo, del resto, l’Uomo non ha nessun Altro da riconoscere: solo tra uomini, con la minuscola, può in effetti esserci differenza. Anche a causa di quest’uso enfatico e fastidioso delle maiuscole, e già a questo livello ancora preliminare, non si può evitare l’impressione che il discorso di Badiou sia strutturato intorno a una serie di dualismi tra loro correlati. Da una parte l’animale umano, che l’etica corrente pensa come vittima, e dall’altra l’Uomo, con la maiuscola, cui Badiou si riferisce col nome di Immortale. Da una parte un’“alterità infinita”, un “labirinto di differenziazioni”, e dall’altra il Medesimo, indifferente a queste differenze. Da una parte, infine, le opinioni, e dall’altra le verità, la cui emergenza avviene di fatto contro tali opinioni. È allora lecito immaginare che il problema principale, come in ogni dualismo che si rispetti, sarà nel seguito del discorso proprio quella di tener salde ad un tempo, tra i due poli, sia la loro distinzione che la loro congiunzione. Anche perché, si noti, non è affatto chiaro, a prima vista, se il rapporto, tra quei due poli, sia da pensare nel segno dell’indifferenza o della contrarietà6. Per saggiare, qui di seguito, l’interna consistenza della soluzione fornita da Badiou a questo problema, e a costo di ripetere cose già dette, ci pare utile partire dall’identità dell’“animale umano”. Radunando i cenni sparsi qua e là si delinea un’immagine tutto sommato coerente. Definito innanzitutto come un molteplice – al punto che la stessa intuizione che ha di se stesso non è quella di un un’unità, ma di un “labirinto di differenziazioni” – l’animale umano è organizzato, nel suo comportamento, dallo spinoziano sforzo di perseverare nell’essere, dalla conservazione di sé o, in una parola, dall’interesse, che ne costituisce la sua «semplice natura»7, rispetto alla quale l’uomo non può però vantare alcun privilegio sul mondo della vita: nei giganteschi formicai che ha costruito persegue interessi di sopravvivenza e soddisfazione che, come quelli di talpe o cicale, si sottraggono ad ogni giudizio di valore.

  1. A. Badiou, L’etica. Saggio sulla coscienza del male, trad. it. a cura di C. Pozzana, Cronopio, Napoli 2006, pp. 18-19.
  2.  Ivi, p. 29.
  3.  Ivi, p. 30.
  4.  Ivi, p. 31.
  5.  Ivi, p. 32.
  6. Una verità si effettua realmente solo dividendo le coscienze, «contro quelle opinioni dominanti che lavorano sempre non per tutti, ma per alcuni»: con la presa di distanza dalle opinioni che essa implica, anzi, essa «è propriamente asociale», e «l’a-socialità si paga con una costante restrizione quanto al perseguimento degli interessi», ovvero di ciò a cui mira l’animale umano, cfr. A. Badiou, L’etica, cit, p. 60. Per un verso, allora, l’Immortale si costituisce innanzitutto in rapporto con il Medesimo, vale a dire con una verità che viene dichiarata ad un tempo indifferente alle differenze e contraria, nemica delle opinioni. Per altro verso, però, è solo l’animale umano a porsi come sostrato della molteplicità tanto delle differenze quanto delle opinioni: come null’altro, anzi, che tale molteplicità stessa. Dove le opinioni, nella loro molteplicità irriducibile, non sono che una specie particolare delle differenze che qualificano l’animale umano, non è possibile non notare come Badiou faccia proprie due opzioni tra loro incompatibili, contraddittorie, affermando implicitamente che l’Uomo, l’Immortale, è ad un tempo contrario e indifferente, opposto e disgiunto rispetto all’animale umano.
  7.  Ivi, p. 63.
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Toto, Francesco. 2010. "LA FEDELTÀ E L’EVENTO. Appunti per una critica della teoria del soggetto in Alain Badiou". Pólemos V (2-3). Donzelli Editore: 190-205. https://www.rivistapolemos.it/la-fedelta-e-levento-appunti-per-una-critica-della-teoria-del-soggetto-in-alain-badiou/?lang=it
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